6 aprile 1896, Atene. Uno dei giorni più importanti della storia dello sport: l’inaugurazione della prima edizione dei giochi olimpici moderni. “Dichiaro aperti i primi giochi olimpici internazionali di Atene. Lunga vita alla Nazione, lunga vita al popolo greco” disse Re Giorgio I, guardando il pubblico negli spalti dello stadio Panathinaiko. Nello stesso luogo, poche ore dopo, partì la maratona. Al traguardo un giovane, con un baffo prorompente, venne fermato da un giudice di gara poco prima di tagliare il traguardo. Subito lo raggiunsero le forze dell’ordine che portarono il giovane in prigione. Ma chi era quel giovane? E perché fu arresto?
Quel giovane era Carlo Airolbi. Nato a Broggio nel 1869 da una famiglia contadina, iniziò a gareggiare come maratoneta negli anni ’90, trionfando nel settentrione vincendo competizioni come Milano-Torino. Le continue vittorie lo portarono ad essere uno dei migliori fondisti della sua epoca. Venne poi il momento di fare il grande passo per la carriera: la Milano-Barcellona, una marcia con 12 tappe e di 1050 chilometri.
Nonostante durante il percorso si siano presentate alcune difficoltà, come il rigonfiamento dei piedi, Carlo arrivò primo. In questa occasione egli non dimostrò solo la sua dote sportiva, ma anche la qualità morale della persona. Infatti, poco prima del traguardo, Airolbi e Ortegue, suo acerrimo rivale sportivo, lottarono testa a testa per il primo posto. Ortegue cedette ed Airolbi ne approfittò per volare avanti. Il caso volle che voltandosi per vedere di quanto lo stesse distanziando, Carlo vide il rivale a terra, svenuto dalla fatica. Tornò indietro e se lo coricò sulle spalle, portandolo fino al traguardo. Quando arrivò volle però precisare: “Io sono il primo: l’avversario è con me, ed è secondo”.
Purtroppo la gara più importante della sua vita, fu anche quella che lo rovinò.
Saputo che ad Atene stavano per iniziare le prime Olimpiadi, Carlo si senti in dovere di rappresentare il Regno d’Italia. Così decise di partire. C’era un problema però: non aveva soldi. Allora decise di sfruttare l’unica cosa che sapeva fare bene, camminare. Avrebbe attraversato a piedi l’Impero Austroungarico, L’impero Ottomano e la Grecia. Il viaggio prevedeva 70 chilometri al giorno. Nel viaggio però non fu solo, infatti a sostenerlo economicamente e a documentare la sua impresa ci furono i giornalisti della Bicicletta, giornale milanese.
Il 28 febbraio, alle ore 16:00, dopo una breve corsetta di riscaldamento e l’ok da parte del dottore, Carlo partì. Attraversò Milano, Trieste, Fiume, Ragusa. Arrivato in Albania si imbarcò su una nave poiché gli fu sconsigliato di percorrere a piedi il territorio, a causa dei briganti e per le pessime condizioni delle strade. Sbarcato a Patrasso arrivò tranquillamente ad Atene seguendo le ferrovie, poiché non c’erano strade. L’ultimo giorno, per arrivare alla capitale dei giochi, da Eeusi, percorse, in un giorno, 22 chilometri. Dopo 28 giorni di viaggio finalmente arrivò al palazzo reale per iscriversi alle Olimpiadi. Dato che nella gara Milano-Barcellona, come premio aveva vinto dei soldi, l’italiano venne considerato un professionista, categoria che non poteva partecipare ai giochi. Da subito si capì che il problema per il CIO non era la partecipazione e il premio di Airolbi, ma bensì la paura che potesse sconfiggere gli atleti greci. Nonostante questo decise di correre, ma sappiamo già come andò a finire. Dopo la notte in prigione, l’atleta tornò in patria. Qui continuò a correre nel tentativo di battere vari record registrati. Nel 1898, Carlo non era più forte come prima, non era più il primo, così, nel tentativo di cercare lavoro, si trasferì in Svizzera. Qui lavorò per una azienda che produceva le biciclette, continuando ovviamente a gareggiare. Dopo aver cercato fortuna anche in Sud America, tornò in patria dove diventò dirigente sportivo. Morì nel 1929.
Sara Arco
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