venerdì 15 novembre 2013

Una speranza nel cielo di Praga

Finalmente è tornata la rubrica dei personaggi! L’anno scorso abbiamo raccontato le storie di alcuni grandi uomini: il brasiliano Chico Mendes, “el compañero presidente” Salvador Allende, i sette fratelli Cervi, il rivoluzionario della “ Locomotiva” Pietro Rigosi, il grande Sandro Pertini ed infine i morti di Reggio Emilia. Per fortuna abbiamo ancora tante storie da raccontare, ancora tanti uomini, più o meno noti, che hanno lottato per un futuro migliore.
Quest’anno iniziamo con la storia di Jan Palach. 
16 gennaio 1969, Praga: “Di antichi fasti la piazza vestita, grigia guardava la nuova sua vita, come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga, ma poi la piazza fermò la sua vita, breve ebbe un grido la folla smarrita, quando la fiamma violenta e atroce spezzò gridando ogni suono di voce” (Francesco Guccini).

Così, in Piazza San Venceslao, ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, un giovane studente di ventun’anni, si diede fuoco in mezzo alla folla. Più tardi, lontano dalla scalinata, fu ritrovata una sacca a tracolla, dove, tra vari articoli e appunti, un documento attirò l’attenzione:

"Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l'onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l'abolizione della censura e la proibizione di Zparvy (il giornale delle forze d'occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s'infiammerà"

Firmato Jan Palach. Ma chi era Palach? E perché si diede fuoco? Per rispondere a queste domande dobbiamo tornare indietro di qualche anno. Nel 1949 le maggiori nazioni europee, insieme agli Stati Uniti, firmarono il Patto Atlantico. Qualche anno dopo, nel 1955, l’URSS insieme agli altri paesi comunisti Europei ( esclusa la Jugoslavia ) firmarono un’alleanza al fine di opporsi al Patto Atlantico: il Patto di Varsavia. Iniziò così la Guerra Fredda.  Ma il “ Blocco Comunista ”aveva delle piccole crepe e, con il passare del tempo, alcune di esse si trasformarono in buchi. Infatti nel ’56 l’Ungheria tentò un parziale ripristino della libertà politica. La risposta da parte dell’URSS fu sedare la ribellione nel sangue. Nel ‘68, il cecoslovacco Alexander Dubcek avanzò la stessa idea di libertà politica rispetto all’Unione Sovietica. Il periodo di queste riforme prende nome, grazie ai media del tempo, di “ Primavera di Praga”. Le riforme proposte dal comunista Dubcek, nel tentativo di concedere ulteriori diritti ai cittadini, prevedevano inoltre un allentamento delle restrizioni alla libertà di stampa e di movimento. Ma l’URSS non poteva accettare queste riforme e, dopo alcuni tentativi di negoziazione, inviò tra il 20 e il 21 agosto dello stesso anno fra 200.000 e i 600.000 soldati e tra i 5.000 e 7.000 carri armati e altri veicoli corrazzati in Cecoslovacchia. La fine dell’era comunista avvenne nel 1989, in seguito ad una rivoluzione iniziata dagli studenti universitari, e che vide nel 1990 le prime elezioni libere.
Ora torniamo a quel 16 gennaio. Jan Palach, giovane studente di storia ed economia politica, ogni volta che a Praga c’erano manifestazioni, partecipava. Quando l’Unione Sovietica invade la Cecoslovacchia, le proteste continuano, le grida di sofferenza si fanno sentire sempre più forti, e nonostante tutto niente cambia. E questo Jan lo nota. E allora cosa fare per farsi ascoltare? 
Ed è così che il giovane Palach arriva al suo gesto estremo. Purtroppo le fiamme non lo uccisero subito, ma lo fecero urlare per tre giorni su un letto d’ospedale. Una giornalista ceca lo intervistò ( il video lo si può trovare anche su YouTube ) per fargli le domande che tutti si ponevano: perché? Per ottenere cosa? E così via. Lui, soffrendo nel dire ogni singola parola, le risponde, dicendo più o meno quello che si trovava nello scritto della sacca. Poi la giornalista gli dice “  Tutti si chiedono se quello che hai fatto non basta” “Noi non vogliamo essere presuntuosi” dice 
“ Semplicemente non dobbiamo pensare troppo a noi stessi, l’uomo deve lottare contro i mali che riesce ad affrontare.”
Subito Jan diventa il simbolo della resistenza anti-sovietica, tutto il mondo parla di lui, su i muri i manifesti portano la sua faccia. Al funerale vengono tutti, tutti quei cechi che erano scappati per trovare la libertà e tutti quei cechi che erano rimasti per lottare per la libertà.
“ Dimmi chi sono quegli uomini lenti, coi pugni chiusi e con l’odio fra i denti, dimmi chi sono quegli uomini stanchi, di chinar la testa e di tirare avanti, dimmi chi era che il corpo portava, la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga” (Francesco Guccini).

Sara Arco

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