venerdì 15 novembre 2013

Dalla crisi si esce con meno Europa o con più Europa?

 “Dobbiamo uscire dall'Euro producendo inflazione. Noi non ci dobbiamo scordare che tutte le crisi del passato le abbiamo superate con la svalutazione della Lira, perché altrimenti non ripartiamo, non ce la faremo mai. Non ci possiamo permettere questo Euro così forte,  perché noi abbiamo parificato solo la nostra moneta, ma non il costo del lavoro, la produttività, il bilancio dello Stato. Io voglio stare in Europa, ma da vivo, non da morto. Il nostro Presidente se potesse uscire domani dall'Euro uscirebbe.” (Piero Orlando Roccato - Direttore di Apindustria, Padova)

Da quando è scoppiata la bolla immobiliare in America nel 2007 ad oggi, l’occidente ha conosciuto la più grave depressione economica dall'ultimo dopoguerra.
L’America per uscire dalla crisi ha agito estendendo l’ intervento pubblico al settore manifatturiero e finanziando le opere pubbliche. Nell'Eurozona l’atteggiamento è stato quello opposto, basato su una politica economica di austerity, volta a tutelare stabilità dei mercati e delle banche a discapito dell’ industria e del welfare. Non solo la produttività e la competitività degli stati membri sono state danneggiate,  ma le costituzioni dei paesi in deficit sono state compromesse, vedendo violati i diritti fondamentali dei lavoratori e di tutti i cittadini.
L’attuale recessione italiana non è soltanto dovuta allo sperpero di denaro pubblico verificatosi nell'ultimo ventennio, a una burocrazia che ostacola le attività imprenditoriali e all'evasione fiscale, ma è naturale conseguenza di un difetto strutturale dell’ Euro, il quale obbliga differenti economie ad un’unica moneta, la quale non solo impedisce a ciascun paese membro di seguire una propria politica economica a seconda delle necessità, ma vincola l’emissione di cartamoneta all'indebitamento con la BCE. Questo deleterio meccanismo non è semplicemente ostacolante la ripresa, ma circolo senza via d’ uscita che ci conduce inevitabilmente alla catastrofe.

 Parafrasando un grande scrittore, possiamo dire che “l’Europa si è fermata all'Euro, è evidente che non basta e che così non può star su. Dobbiamo procedere velocemente verso l’Europa federale.” Così esordisce il noto imprenditore ed editore italiano Carlo De Benedetti al teatro “La Fenice” di Venezia, in occasione dell’ apertura del festival “La Repubblica delle idee”.
Spiega poi la scelta del titolo affermando che “Dobbiamo guardare con fiducia all'Europa” e la scelta della città di Venezia in quanto “è stata la più coraggiosa delle Repubbliche Marinare"

Il direttore del quotidiano Ezio Mauro è della stessa opinione: “Bisogna uscire dalla crisi con più Europa e non con meno Europa. Non capiamo la legittimità dei vincoli e quindi quei vincoli sembrano soprusi. […]Venezia perché è una città che nel suo DNA è aperta al mondo. Nel nord-est c'è la cultura del fare.”
Ma la parte del discorso che più mi ha colpito, è incentrata non sulla crisi economica ma sulla crisi culturale e ideologica che l’Europa sta vivendo, facendo riferimento alla tragedia svoltasi nei pressi di Lampedusa nei giorni precedenti.
“Quanto è accaduto tocca un mare italiano ma tocca un confine dell’ Europa. Non possiamo dare delle risposte da soli, abbiamo visto che non basta neanche lo scenario di morte che si è disegnato a Lampedusa nei giorni scorsi per scoraggiare questo mercato da parte degli scafisti e la disperazione da parte di queste persone che cercano di arrivare nel nostro paese. Io ho sempre pensato che l’ Europa dovrebbe avere coscienza di sé, dovrebbe sapere di essere rispetto al mondo la terra della democrazia dei diritti e della democrazia delle istituzioni…poi succedono questi fatti e vediamo che le persone che cercano le nostre sponde, cercano l’Europa attraverso l’Italia, non hanno nemmeno coscienza di avere diritti. Rivendicano qualcosa che viene prima: il diritto alla vita per sé e per i propri figli. Noi siamo visti come una speranza di libertà e come possiamo pensare di reagire a tutto questo? Chiedendo all’ Europa una politica che ci tolga quel muro che abbiamo nella nostra testa e che battezza queste persone come criminali. In fondo noi non chiediamo che si chiudano le frontiere, chiediamo che si governi il fenomeno in chiave europea.”

 Dopo un commento del governatore della regione Luca Zaia, la giornalista ed editorialista Barbara Spinelli conclude con l’ intervento “L’ Europa di cui abbiamo bisogno”.
 Quest’ultima, invita a riflettere su come è cambiato il ruolo dell’ Europa negli anni, nata alla fine di un conflitto mondiale come comunità per garantire la pace e la democrazia, finita poi per diventare l’ Europa dei banchieri e dei tecnici. Tuttavia troike e burocrati sarebbero solo i capri espiatori dei veri colpevoli di questo grande delitto: i ministri e i capi di stato che hanno permesso tutto ciò e che tutt'ora dimostrano di volerlo. Attraverso un elenco di quelle che definisce le più evidenti menzogne, o “Guai” (paragonandoli ai “Guai” dell’ Apocalisse di Giovanni), mette in luce le contrapposizioni tra l’ Europa come viene raccontata dai burocrati e dai media al loro servizio, e l’ Europa come realmente è, discutendo su quelli che da molti vengono ancora considerati “dogmi”.
Ribadisce il concetto della necessità di reinventare la moneta unica e di ricostruire un’ Europa che tenga in considerazione le esigenze di tutti gli stati membri, non solo della Germania. Trovare un’ alternativa è possibile, non è un illusione di alcuni fanatici idealisti come si vuole far credere. Questi “fanatici idealisti”, tanto demonizzati perché temuti, sarebbero gli euroscettici, definiti anche “populisti” o ”sognatori” nei quali paradossalmente c’ è da sperare, perché non accettano le cose così come sono. 


Martina Celleghin

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