“Dobbiamo uscire dall'Euro
producendo inflazione. Noi non ci dobbiamo scordare che tutte le crisi del
passato le abbiamo superate con la svalutazione della Lira, perché altrimenti
non ripartiamo, non ce la faremo mai. Non ci possiamo permettere questo Euro
così forte, perché noi abbiamo
parificato solo la nostra moneta, ma non il costo del lavoro, la produttività,
il bilancio dello Stato. Io voglio stare in Europa, ma da vivo, non
da morto. Il nostro Presidente se potesse uscire domani dall'Euro uscirebbe.” (Piero Orlando Roccato - Direttore di
Apindustria, Padova)
Da quando è scoppiata la bolla immobiliare in America nel 2007 ad oggi, l’occidente ha conosciuto la più grave depressione economica dall'ultimo dopoguerra.
L’America per uscire dalla crisi ha
agito estendendo l’ intervento pubblico al settore manifatturiero e finanziando
le opere pubbliche. Nell'Eurozona l’atteggiamento è stato quello opposto,
basato su una politica economica di austerity, volta a tutelare stabilità dei
mercati e delle banche a discapito dell’ industria e del welfare. Non solo la
produttività e la competitività degli stati membri sono state danneggiate, ma le costituzioni dei paesi in deficit sono
state compromesse, vedendo violati i diritti fondamentali dei lavoratori e di
tutti i cittadini.
L’attuale recessione italiana non
è soltanto dovuta allo sperpero di denaro pubblico verificatosi nell'ultimo
ventennio, a una burocrazia che ostacola le attività imprenditoriali e
all'evasione fiscale, ma è naturale conseguenza di un difetto strutturale dell’
Euro, il quale obbliga differenti economie ad un’unica moneta, la quale non
solo impedisce a ciascun paese membro di seguire una propria politica economica
a seconda delle necessità, ma vincola l’emissione di cartamoneta all'indebitamento con la BCE. Questo deleterio meccanismo non è semplicemente
ostacolante la ripresa, ma circolo senza via d’ uscita che ci conduce
inevitabilmente alla catastrofe.
Spiega
poi la scelta del titolo affermando che “Dobbiamo guardare con fiducia all'Europa” e la scelta della città
di Venezia in quanto “è stata la più
coraggiosa delle Repubbliche Marinare"
Il direttore del quotidiano Ezio
Mauro è della stessa opinione: “Bisogna
uscire dalla crisi con più Europa e non con meno Europa. Non capiamo la
legittimità dei vincoli e quindi quei vincoli sembrano soprusi. […]Venezia perché
è una città che nel suo DNA è aperta al mondo. Nel nord-est c'è la cultura del
fare.”
Ma la parte del discorso che più
mi ha colpito, è incentrata non sulla crisi economica ma sulla crisi culturale
e ideologica che l’Europa sta vivendo, facendo riferimento alla tragedia
svoltasi nei pressi di Lampedusa nei giorni precedenti.
“Quanto è accaduto tocca un mare italiano ma tocca un confine dell’
Europa. Non possiamo dare delle risposte da soli, abbiamo visto che non basta
neanche lo scenario di morte che si è disegnato a Lampedusa nei giorni scorsi
per scoraggiare questo mercato da parte degli scafisti e la disperazione da
parte di queste persone che cercano di arrivare nel nostro paese. Io ho sempre
pensato che l’ Europa dovrebbe avere coscienza di sé, dovrebbe sapere di essere
rispetto al mondo la terra della democrazia dei diritti e della democrazia
delle istituzioni…poi succedono questi fatti e vediamo che le persone che
cercano le nostre sponde, cercano l’Europa attraverso l’Italia, non hanno
nemmeno coscienza di avere diritti. Rivendicano qualcosa che viene prima: il
diritto alla vita per sé e per i propri figli. Noi siamo visti come una
speranza di libertà e come possiamo pensare di reagire a tutto questo?
Chiedendo all’ Europa una politica che ci tolga quel muro che abbiamo nella
nostra testa e che battezza queste persone come criminali. In fondo noi non
chiediamo che si chiudano le frontiere, chiediamo che si governi il fenomeno in
chiave europea.”
Dopo un commento del governatore della regione
Luca Zaia, la giornalista ed editorialista Barbara Spinelli conclude con l’
intervento “L’ Europa di cui abbiamo
bisogno”.
Quest’ultima, invita a riflettere su come è
cambiato il ruolo dell’ Europa negli anni, nata alla fine di un conflitto
mondiale come comunità per garantire la pace e la democrazia, finita poi per
diventare l’ Europa dei banchieri e dei tecnici. Tuttavia troike e burocrati
sarebbero solo i capri espiatori dei veri colpevoli di questo grande delitto: i
ministri e i capi di stato che hanno permesso tutto ciò e che tutt'ora
dimostrano di volerlo. Attraverso un elenco di quelle che definisce le più
evidenti menzogne, o “Guai”
(paragonandoli ai “Guai” dell’ Apocalisse di Giovanni), mette in luce le
contrapposizioni tra l’ Europa come viene raccontata dai burocrati e dai media
al loro servizio, e l’ Europa come realmente è, discutendo su quelli che da
molti vengono ancora considerati “dogmi”.
Ribadisce il concetto della
necessità di reinventare la moneta unica e di ricostruire un’ Europa che tenga
in considerazione le esigenze di tutti gli stati membri, non solo della
Germania. Trovare un’ alternativa è possibile, non è un illusione di alcuni
fanatici idealisti come si vuole far credere. Questi “fanatici idealisti”,
tanto demonizzati perché temuti, sarebbero gli euroscettici, definiti anche
“populisti” o ”sognatori” nei quali paradossalmente c’ è da sperare, perché non
accettano le cose così come sono.
Martina Celleghin
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